lunedì 3 settembre 2012

Madama Butterfly

Tra le molte cose che mi hanno sorpreso durante la mia recente gita in Giappone con Lucifero&Friends c'e' questa. Nel paese del Sol Levante non si parlano lingue straniere. Nessuna, nemmeno l'inglese. E' una cosa trasversale: che siano vecchi o giovani, ricchi o poveri, istruiti oppure no, nessuno si prende la briga di imparare una lingua che usi l'alfabeto invece dei geroglifici.

La vedo da lontano. Tra un campo di mais e una fila di mandorli. E' una visione. Cammina lenta. E' interamente coperta. Dalle scarpe tecniche spuntano delle calze a righe bianche e grigie degne della Strega dell'Est. Sopra ci sono dei calzoni alla zuava color della cenere. Le mani sono fasciate da un paio di guanti di cotone bianco. Una maglia a maniche lunghe, un cappello a falda larga e lo zaino grande sul quale sta appoggiato un oggetto incongruo. Un copricapo di paglia dalla forma conica. Una pagoda di giunchi coperta di scritte in caratteri kangi. A guardarla cosi', pare una mondina in fuga dalla risaia. O la nonna di Sampei, quello che lottava per ore contro carpe e lucci che nemmeno l'Uomo Tigre contro il malvagio di turno.

L'avvicino e le rivolgo il migliore dei konnichiwa. Lei mi guarda e sorride. Avendo esaurito le conoscenze di giapponese da conversazione, passo all'inglese. Ovviamente non serve a nulla, la barriera linguistica resta insormontabile. Poi pero' accade l'impossibile, Madama Butterfly muove lentamente le labbra e dichiara "Yo soy una senora japonesa". A parte l'evidente passione per sottolineare l'ovvio, mi ha appena rivelato qualcosa di sconvolgente, esistono giapponesi poliglotti.

Purtroppo non conosce piu' di cento parole della lingua di Cervantes ma bastano a regalarci cinque minuti di piacevole dibattito sull'importanza di svoltare a sinistra al prossimo incrocio per vedere la chiesa dei templari piuttosto che tirare dritto fino alla meta.

Ovviamente si rifiuta di farmi compagnia. Non sia mai fossi anche io come quel farabutto del tenente Pinkerton.


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