giovedì 20 settembre 2012

20) Santiago de Compostela - Oliveiroa

Il mondo e' cambiato.

Fino a ieri, per tutte le grandi domande della vita (Chi siamo? Dove andiamo? E soprattutto, ci sara' posto?) esisteva una risposta chiara(Pellegrini. Al prossimo albergue. Certamente si', ma se siamo in Galizia allora ci tocchera' andare fino all'ostello successivo).

E oggi? Il Seminario Minore prende vita alle cinque. Molto prima del solito. Alle sei, la meta' dei letti e' gia' vuota. Il piano di evacuazione viaggia a pieno regime. Ci sono aerei da prendere, stazioni da raggiungere, autobus da non perdere. Ieri pellegrini, oggi fuggiaschi. Ognuno deve correre a casa. Non c'e' un minuto fa perdere. E' una frenesia innaturale.

Tra i pochi rimasti si respira un certo imbarazzo. Saluto una ragazza americana in partenza. Le sto per augurare il solito "Buen camino" quando mi accorgo che non ha piu' senso. "Buen viaje. Hasta luego...". Ecco, e' ufficiale: siamo arrivati a destinazione, non siamo piu' pellegrini.

Il mondo e' cambiato.

Devo aspettare le sette prima di partire. La strada per Finisterre non e' cosi' ben segnata come il cammino. E non e' cosi' tanto frequentata.

Uscire da Santiago non richiede molto tempo. Sono sulla prima collina ed e' gia campagna. Alle mie spalle il sole comincia a sorgere.

Mi volto e scorgo la cattedrale. Quando arrivi non la vedi. E' nascosta. E comunque la raggiungi da dietro. Adesso invece svetta contro il sole nascente. Neanche lei e' piu' la stessa. Sembra l'Angkor Wat, quel tempio in Cambogia, quello coperto di liane. E' un'illusione che voglio ricordare cosi', a memoria. Per la prima volta dall'inizio del viaggio non fotografo l'alba.

Anche la Galizia e' cambiata. Le colline si fanno piu' aspre. Attraverso boschi di querce e eucalipti (l'eucalipto ha un profumo maschio, sa di dopobarba).

Le ultime tracce di monumenti sono a Ponte Maceira e a Negreira, poi c'e' solo campagna.

A Negreira c'e' l'ultimo negozio. Poi piu' nulla fino a Cee, quaranta chilometri piu' avanti. E non ci sono nemmeno fontane. Significa che bisogna fare provviste per oggi e domani. E caricarsi quattro bottiglie d'acqua.

Forse e' per questo che c'e' cosi' poca gente sulla strada di Finisterre. Troppo faticoso. Troppa distanza tra un albergue e l'altro. Quelli della Giunta sono bellissimi ma sono davvero pochi.

Sulla guida me ho identificato uno privato che non sembra troppo lontano. Quando ci arrivo scopro che e' una stanzetta con degli strani personaggi e no, non mi va di finire come in un film prodotto da Quentin Tarantino. Piuttosto mi infliggo di nuovo una tappa doppia.

Con molta fatica arrivo qua. Super, che e' del settore, lo definirebbe un albergo diffuso. Una manciata di stalle trasformate in stanze. Nella mia siamo in sei. In quella accanto sono in tre. Tutte vacche da latte con mantello pezzato. Il bagno e' due porte piu' avanti. La cucina tre. Il bar piu' in basso, dall'altro lato della strada. Fanno le patate fritte piu' buone del mondo. O forse sono cosi' stanco che qualunque cosa mi sembrerebbe un piatto da re. Due ragazzi fanno tai chi davanti a un granaio. Altri bevono una birra appoggiati a un steccato. Qualcuno arriva dal cammino del nord, qualcuno da Santiago, qualcuno da non si sa bene dove. L'atmosfera e' leggera. Tedeschi, francesi e giapponesi socializzano a sorsi di rhum. La barista spagnola propone un giro di tequila. Dicono tutti di si'.

Mi sa che mi faccio una coca e poi vado a letto.






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