In estrema sintesi:
ho fatto un po' schifo. Domani elaboro meglio il concetto perchè ora (sono le 5) devo farmi la doccia e correre da
Super (sorella batte blog: non c'è storia). Tranquilli, non credo abbia intenzione di segregarmi in una cella umida e buia.
Vista in televisione la maratona è roba da marziani, gente capace di viaggiare a più di venti chilometri all'ora su una distanza che pare infinita. Gente come la Radcliffe, Gebrselassie, Baldini o la Mikitenko per cui arrivare al trentesimo è solo riscaldamento e la vera gara comincia da lì. Gente che scatta in avanti, esce dal gruppo, fa il vuoto alle sue spalle.
Provate a seguirmi, se ne siete capaci, io proseguo così fino al traguardo. E tu vedi il gruppo che diventa un manipolo, il manipolo che si trasforma in una fila indiana, la fila che si allunga di qualche metro ogni volta e perde pezzi per strada...
E mi spiace per chi resta indietro, ma io oggi sto bene e ho voglia di vincere. La maratona della tivù è quella dei campioni, delle Olimpiadi, dei Mondiali, di New York, Londra e Berlino. È la maratona chi sta davanti, di chi si lascia dietro avversari e compagni, di chi vuole vincere e non solo arrivare. Tutto il contrario della mia Milano-Pavia, e non importa se ho fatto un po' schifo perché mi sono divertito lo stesso. Ore 8:30 partenza dal Parco delle Cave: umido, freddo, cielo grigio e la città che ancora dorme mentre noi siamo svegli da un pezzo. Terra battuta, fango, sterrato poi finalmente l'asfalto. A Lorenteggio raggiungo quelli della San Marco. Siamo una dozzina, gruppo compatto, con Gaetano in testa a fare l'andatura ed Enrico a controllare i tempi. Un'altra escursione nel fango e poi il Naviglio Grande, la Darsena, e il Naviglio Pavese. Tutti insieme e tutti con lo stesso ritmo. Si riesce persino a parlare, a scherzare, a fare battute sui cambi di sponda e a sorridere per le mogli che scattano foto sul ciglio della strada. Chi sta davanti segnala gli ostacoli. Quelli di dietro avvertono quando bisogna mettersi di lato perché stanno arrivando i primi concorrenti della mezza maratona o della gara storica. Si parla di altre gare, di allenamenti a orari improbabili e di chi si è visto passare. Poi si comincia a risparmiare le forze e le chiacchiere lasciano il posto al rumore delle scarpe sulla strada bagnata. Il rilevamento di metà corsa è un punto indistinto tra una città e l'altra, col canale da un lato e gli alberi a delimitare un campo di terra marrone.
1:38:43 – Milano City Marathon 2008
1:33:45 – Stramilano Agonistica 2009
1:33:44 – MilanoPavia 2009 (42km)1:33:01 – Mezza di Monza 2009
È da quando siamo partiti che inseguiamo la sagoma nera di chi ci precede. Lui solo e noi in gruppo. Ci separano sempre meno di cento metri ma sembra impossibile raggiungerlo. Sulla schiena ha una scritta:
faber est quisque fortunae suae. Al venticinquesimo si gira a sinistra per imboccare il tunnel sotto la statale, si fa una piccola discesa al buio e una curva a destra prima di risalire sul ponte di legno. Poi c'è il ristoro ed è là che succede l'imprevisto.
Faber si ferma. All'improvviso. E più o meno tutti dietro di lui si fermano o rallentano. Il gruppo riparte ma non è più la stessa cosa. Avete presente le Olimpiadi d'Atene, quando Vanderlei de Lima venne
bloccato da quello sciroccato irlandese? Succede proprio così. Un attimo primo eravamo compatti e concentrati, un attimo dopo non sappiamo più cosa stiamo facendo. Qualcuno riprende, qualcuno resta indietro. Cinque, dieci, venti, cinquanta metri. Ci sono due chilometri di terra battuta che tagliano le gambe e addio gruppo. L'acido lattico mi distrugge le cosce. Al trentesimo cedo. Qui Baldini e la Radcliffe staccherebbero gli avversari voltandosi indietro con un sorriso di sfida. Io invece sorrido grato a chi mi offre un tè caldo e una zolletta di zucchero. Sono morto. Rallento. Arriva
Faber e mi dice “Dai, andiamo che li riprendiamo”. Provo due passi veloci ma fa troppo male. Non gli dico dove dovrebbe andare perché sono troppo signore. Al trentacinquesimo crollo. Ho male dappertutto. Alla testa, alla milza, alle punte dei piedi e soprattutto alla gamba destra, dalla caviglia all'anca passando per il ginocchio. Per la prima volta scopro l'esistenza della bandella, il muscolo maledetto all'esterno dell'articolazione. Prima fa male, poi smette per un paio di chilometri, poi inizia a scattare ogni volta che faccio un passo in avanti. È insopportabile. Il bello è che nel frattempo arrivano dei perfetti sconosciuti che si avvicinano e mi dicono di continuare, di non fermarmi. C'è persino chi mi abbraccia e dice “andiamo, ti porto io”. Voi riuscite a immaginare Gebrselassie che rinuncia a fare il suo personale per aiutare un avversario in difficoltà? E così un po' zoppicando, un po' correndo, un po' da solo, un po' (anzi molto) aiutato da perfetti sconosciuti arrivo in città, mi faccio l'ultimo chilometro di corsa e taglio il traguardo allargando le braccia per non perdere l'equilibrio nella discesa finale.
Ho fatto un po' schifo ma non importa.3:52:51 – Milano City Marathon 2008
3:37:25 – MilanoPavia 2009 (42km)Cosa non ha funzionatoSoprattutto la testa. Sono partito troppo veloce e l'ho pagata. Anche senza l'incidente con
Faber non penso che sarei riuscito a tenere quel ritmo fino in fondo. Magari sarei rimasto col gruppo fino al trentesimo ma poi mi sarebbe venuto un infarto e il traguardo l'avrei visto solo in fotografia. Un po' mi dispiace perché nei
lunghi ero stato di una regolarità impressionante. Poi ho fatto l'enorme fesseria di fermarmi un paio di volte col freddo che faceva, per giunta con due cisterne d'acido lattico al posto delle gambe. Il corpo ha cercato di evitare il dolore, ho cominciato a camminare in modo strano e così mi sono giocato pure la caviglia, l'anca e il ginocchio. Effetto domino. Se non altro il calvario è durato molto meno che alla Maratona di Milano.
Due parole per chi volesse partecipare l'anno prossimoSulla carta è una corsa in pianura ma ci sono parecchie salite e discese in corrispondenza dei vecchi ponti. Nulla di tremendo ma è bene saperlo. Il cavalcavia alla fine di via Giordani e l'arrivo al Ponte Coperto sono piuttosto impegnativi. Il primo è abbastanza ripido ed è proprio all'inizio. Il secondo è una discesa su lastroni non troppo regolari. Aspettatevi ogni genere di fondo, in prevalenza è asfalto, ma c'è anche un lungo tratto in terra battuta, un po' di sterrato, dei passaggi sul legno e sul ferro e, da Binasco in avanti, chi vuole può scivolare sulla vernice rossa della pista ciclabile (io sono rimasto sulla corsia nera perché offriva un po' di aderenza in più). Il percorso è teoricamente rettilineo ma ci sono anche delle curve e controcurve in rapida successione, spesso pure con ostacoli (buche, marciapiedi, pali, cartelli). Ultimo dettaglio: la prima metà del percorso sfrutta le vecchie alzaie che sono piuttosto strette e non consentono di superare. Trovate fin da subito il vostro ritmo e i vostri compagni di corsa (mi pare evidente che io non sono bravo in questo tipo di scelte).
FaunaOvviamente non mancavano i fanciulli di aspetto gradevole. Vi consiglio di cercare qualche foto del secondo classificato, decisamente il più bello di tutti. Stendiamo un velo pietoso sulle poche ragazze presenti.
Tre cose che gli organizzatori dovrebbero appuntarsi(non sia mai passassero da queste parti)(1) Mettiamoci d'accordo sui termini. Se si dice "spogliatoio all'arrivo" mi immagino di trovare una tenda, un camion, una scuola, qualcosa insomma, dove potermi cambiare e appoggiare la borsa. Stare nudo in mezzo a una piazza con un asciugamano intorno alla vita e un crampo che mi paralizza mentre cerco di infilarmi i boxer non rientra nella mia definizione di spogliatoio.
(2) Nemmeno a Guantanamo tengono i prigionieri a pane e acqua (almeno spero che non lo facciano più). Il primo rifornimento con la sola acqua (senza nemmeno il pane, per non parlare degli integratori) faceva venire un po' rabbia (specie se paragonato ai ricchi buffet incontrati più avanti).
(3) Non è colpa di nessuno se uno dei pullman per il rientro è finito altrove, però sarebbe stato meglio spiegare subito la situazione e offrire generi di conforto a chi come me è rimasto bloccato a Pavia per un paio d'ore.
Prova fotograficaNei prossimi giorni potrebbe uscire una serie di foto che mi ritraggono mentre divoro una pila di fette biscottate intervallate da strati di nutella. Non è ritoccata con PhotoShop, sono io che sono una fogna, anche quando soffro le pene dell'Inferno.
E poi?Tornato a Milano sono subito montato in sella, il giorno dopo ho fatto una lunga camminata in salita e trentasei ore dopo l'arrivo a Pavia i primi chilometri di corsa. Non riesco ancora a fare le scale senza una smorfia di dolore, ho le gambe a pezzi e ingurgito cibo proteico per riparare i danni, mi chiedo se non sia il caso di rassegnarsi a correre col cronometro al polso e sto già pensando alla Stramilano e alla MilanoFashionMarathon (giuro, si chiama così). In fin dei conti, mancano solo quattro mesi.
Manca ancora un paio di foto (appena le trovo le metto).
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